Un regista cosentino e un'artista israeliana ostaggi di una burocrazia che rende il figlio senza padre
Una scala di Escher in cui l’inizio è la fine e il percorso non conosce meta ma solo altre salite e discese. È questa l’odissea dell’assurdo che parte da un amore e finisce nella terra di mezzo delle carte e degli avvocati e del diritto internazionale. Un racconto lungo e intricato il cui finale è ancora da scrivere. È la storia che il regista cosentino Giuseppe Bisceglia fa dalle pagine di Rolling Stone, come vittima di un paradosso diplomatico che lo vede incastrato in quella che definisce “violenza burocratica”, cominciata quando ha deciso di sposare la sua fidanzata, un’artista di origini israeliane. Tra permessi e riconoscimenti, tra inghippi formali e tempi lunghissimi (e nel mezzo parcelle di avvocati impegnati a venire a capo della vicenda) tutto parte da un veto che il governo israeliano impone a chi decide di sposarsi fuori dal Paese, con uno straniero (in questo caso italiano) senza rito religioso. Questo costringe Giuseppe e la compagna Lihi a cercare vie alternative e uno Stato in cui sia possibile dirsi di “sì” solo per amore. Questo Stato è Cipro che mette il timbro sulle nozze in una bella giornata di sole. Si sposano senza amici, senza familiari, in diretta Zoom con i parenti costretti a casa dalla pandemia. Sembra un bel finale, solitario ma felice. La storia, purtroppo, non finisce qui. Anzi, diventa ancora più complicata…
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